29/12/2020
IN RICORDO DI LUIGI SNOZZI
Nel riprendere dopo qualche anno l’esperienza italiana dell’insegnamento dell’architettura, Luigi Snozzi aveva scelto la scuola di Architettura di Alghero fino dalla sua nascita, insegnandovi dal 2002 per dieci lunghi anni accademici. Un onore per la scuola e una straordinaria opportunità per gli studenti che hanno avuto la fortuna di incontrare subito un Maestro, un architetto ticinese di riconosciuta fama internazionale, il cui modo di progettare aveva una qualità inscindibile dalla sua caratura umana, dalla forza del carattere, unita alla sua integrità e capacità di non accettare compromessi. Luigi Snozzi era molto amato dagli studenti, che vedevano in lui oltre alle straordinarie capacità didattiche sul progetto, una presenza carismatica che smontando da subito i luoghi comuni stimolava le menti mettendo i giovani nelle condizioni di pensare il progetto come apertura di possibilità, fuori delle procedure istituzionalizzate. Luigi Snozzi cercava gli ostacoli, “Noi volevamo che la nostra architettura rompesse le scatole alla gente, sempre, come se ciò fosse la garanzia del suo valore. Volevamo mettere a disagio la gente, ma con rigore… l’architettura diventò la nostra vita, e costruendo degli oggetti architettonici costruivamo noi stessi.”
Un modo di insegnare che è stato un modo di insegnare a vivere, che ha caratterizzato l’intensa l'attività didattica condotta da Luigi Snozzi, che nel corso degli anni insegnò presso i Politecnici di Zurigo e di Losanna, presso la facoltà d'Architettura dell'Università di Trieste e, dal 2002, nella scuola di Architettura di Alghero dell'Università degli Studi di Sassari.
Luigi Snozzi era forse predestinato all'Architettura. Nasce infatti nel 1932 a Mendrisio, proprio nell’attuale sede dell’Accademia di Architettura, allora Ospedale della Beata Vergine. Dopo aver lavorato negli studi di Peppo Brivio e di Rino Tami, nel 1958 apre un suo studio a Locarno. Dal 1962 al 1971 lavora in associazione con Livio Vacchini, dal 1975 con Bruno Jenni, mentre nel 1988 apre uno studio a Losanna. Il periodo con Livio Vacchini è entusiasmante. “Ricordo i bellissimi anni passati insieme - racconta Snozzi - per liberarci da quanto avevamo appreso a scuola”. Per l'impegno politico in quegli anni, Snozzi viene praticamente escluso dai lavori pubblici, trascinando in questa difficoltà anche Vacchini. Questo fatto porta alla fine alla separazione con Vacchini.
Dopo questo primo periodo di sperimentazione, in cui la ricerca è portata verso l’industrializzazione della costruzione, verso la ricerca della massima flessibilità, l’interesse si sposta verso il rapporto con la città e il paesaggio. Il progetto più emblematico di questo momento fu sicuramente il progetto del concorso del Campus del Politecnico Federale di Losanna. A questo progetto presero parte, oltre a Snozzi, Tita Carloni, Mario Botta, Aurelio Galfetti e Flora Ruchat.
Nel 1993 vince i premi Beton, Wakker ed il Prince of Wales attribuito dall'Università di Harvard per il progetto di Monte Carasso, vero laboratorio dove Snozzi sviluppa un nuovo modo di concepire la relazione tra urbanistica ed architettura. Come a Monte Carasso, i progetti di Snozzi si aprono con il guardare interpretativo del progettista e si concludono con il guardare attivo del cittadino, come altre famose opere oltre alle realizzazioni di Monte Carasso: Casa Snider a Verscio, Casa Kalmann a Brione, Casa Heschl ad Agarone, Casa Diener a Ronco e l'edificio amministrativo per Bau + Grund a Pfozheim, in Germania.
Come riconoscimento del valore dell'opera e della caratura culturale di Luigi Snozzi, ma anche per onorare il suo sentimento di appartenenza alla scuola di Alghero, nel luglio 2007 la Facoltà di Architettura gli aveva conferito la laurea honoris causa in Architettura. Abbiamo sempre considerato questo riconoscimento come l’espressione della nostra stima e dell’attaccamento affettivo per Luigi, ricambiato dalla sua inarrestabile umanità. Per questo, per come l’abbiamo conosciuto, crediamo che Luigi apprezzerebbe che il suo nome sia sempre per noi la parola familiare di prima, da pronunciare senza la minima traccia d'ombra o di tristezza.